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Dall’Iran all’Italia, il linguaggio comune dei movimenti femministi nel mondo: intervista a Pegah Moshir Pour.



Più parole si conoscono e meno mani si alzano. Ne è convinta Chiara Valerio, che da curatrice di Più Libri Più Liberi ha deciso di dedicare l’edizione di quest’anno della Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria alla memoria di Giulia Cecchettin.

La violenza di genere è stato uno dei temi più discussi dell’edizione 2023 e uno degli incontri più partecipati è stato il dibattito tra Carlotta Vagnoli e Pegah Moshir Pour, due delle voci più competenti e autorevoli in termini di parità di genere.

Sono sicura che se chiedessi a tutte le donne presenti in sala se hanno mai ricevuto una foto non richiesta o subito una violenza, un abuso o una molestia sono sicura che le mani alzate sarebbero veramente tante – ha esordito la scrittrice Carlotta Vagnoli – Se invece chiedessi agli uomini presenti in sala quanti di loro conoscono, non voglio l’auto colpevolezza, un molestatore sono sicura che non si alzerebbe nessuna mano. In quella differenza numerica, algebrica, è lì che si misura la risposta maschile.

Da anni impegnate in prima linea nella lotta contro la violenza sulle donne e nella divulgazione sui social network degli strumenti per l’abuso, lo stereotipo, la discriminazione, hanno ripercorso la genesi della cultura patriarcale.

La parola patriarcato racchiude una serie di concetti che ci portiamo dietro fin dall’antichità, quando le donne venivano scambiate per capi di bestiame, passando per l’Impero Romano quando entrò in vigore il delitto d’onore, un’usanza secolare che abbiamo letto sul nostro codice penale fino al 1981. Da Artemisia Gentileschi, torturata per aver denunciato il suo stupratore, a Franca Viola, la prima donna ad essersi sottratta al matrimonio riparatore. Sono queste e tante altre le vittime di un sistema patriarcale che non solo non è stato in grado di proteggerle ma che le ha accusate per aver anche solo osato sfidare quello stesso preconcetto che vuole la donna muta, servizievole e accondiscendente.

Se il patriarcato non esiste allora le donne che muoiono sono semplicemente sfortunate. Io vorrei invitare queste persone che non credono nel patriarcato a parlare con le donne sopravvissute alla violenza di genere: si renderanno conto che ognuna di loro racconterà esattamente la medesima storia utilizzando le stesse identiche parole perché gli abuser sono tutti uguali – ha continuato la Vagnoli – Paradossalmente, a chi non vuole vedere il patriarcato, l’idea di poter essere vicino al mostro fa più paura delle donne che muoiono.

Oggi pensiamo che mettere una donna in una posizione di potere possa essere interpretato come un segnale di speranza ma non basta per bucare il soffitto di cristallo – ha aggiunto Pegah Moshir Pour, attivista per i diritti umani – Le donne con un conto in banca sono pochissime, le offerte di lavoro si limitano a contratti a tempo determinato o part time: è arrivato il momento di far uscire le donne dalla dimensione di cura a cui sono relegate da secoli.

Pegah Moshir Pour, attivista italiana di origini iraniane, la settimana scorsa ha partecipato alla cerimonia di consegna del premio Sacharov, riconoscimento istituito dal Parlamento europeo allo scopo di premiare personalità che hanno dedicato la loro vita alla difesa dei diritti umani e delle libertà individuali.

Quest’anno, infatti, il premio è stato conferito a Mahsa Jina Amini e al movimento di protesta “Donna, vita, libertà”. Le autorità iraniane hanno impedito ai genitori della ragazza uccisa l’anno scorso mentre era in custodia della polizia morale per non aver indossato correttamente il velo di partecipare alla cerimonia di consegna.

Le ragazze iraniane continuano a combattere per i loro diritti pur sapendo di andare incontro a morte certa – ha sottolineato Pegah – Ecco perché il mio invito è quello di accogliere questa nuova ondata di consapevolezza, non possiamo più rimanere indifferenti. È nostro preciso dovere intervenire, far sentire la nostra voce.

Pegah, qual è la situazione attuale a Teheran?

Non è cambiato nulla dall’anno scorso ed è gravissimo che la comunità internazionale non si sia mobilitata per limitare gli arresti e le sparizioni e delegittimare il regime. Nel mio Paese la disobbedienza civile è l’unica arma che hanno a disposizione per manifestare il proprio dissenso.

Gli omicidi di Mahsa Jina Amini, Armita Geravand e Giulia Cecchettin, hanno scatenato una piccola rivoluzione. Ma cosa succederà quando si spegnerà l’attenzione mediatica?

Le donne stanno finalmente dando sfogo alla propria rabbia, una rabbia che finora è stata sempre sapientemente silenziata. Sicuramente in Italia abbiamo tanto da lavorare sul tema di genere però così come ci siamo battute per ottenere il suffragio universale dovremo anche combattere per far sì che il diritto all’aborto, oggi fortemente messo in discussione in Italia, sia una libera scelta. È un’azione collettiva che va affrontata insieme, donne e uomini, perché da sole non ce la facciamo.

Quest’anno in occasione del 25 novembre abbiamo assistito a manifestazioni di piazza mai viste prima. Per contrastare il fenomeno della violenza contro le donne e portare ad un cambiamento reale secondo te cosa è necessario fare?

In Italia c’è ancora tanta strada da fare. Sicuramente bisogna essere più rigidi, introdurre nelle scuole l’educazione sessuale ed emotiva, e le famiglie dovrebbero prestare più attenzione e ascoltare di più. Non si può lasciare il telefono in mano ad un bambino di 7 anni senza alcun controllo e permettergli di accedere a qualsiasi tipo di contenuto (porno compreso). La scuola non può fare tutto perché non ne ha la forza, economica soprattutto, sta alla politica rendersi più responsabile, fare delle campagne di comunicazione verticali e dirette e finanziare iniziative di sensibilizzazione, non solo il 25 novembre.

Sanremo che parentesi è stata sia a livello personale che professionale?

È stato molto bello ed emozionante ma soprattutto molto importante e necessario per far conoscere l’Iran e per dimostrare che l’attivismo si fa con le parole non con la violenza o con le armi.

Prossimi progetti? Hai mai pensato di scrivere un libro?

Sì, ti anticipo che il mio primo libro uscirà ad aprile 2024.

 

Tamara Santoro

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