Riceviamo e pubblichiamo una nota sul progetto della “Spiaggia Abile“, dell’Assessore del Comune di Isernia Leda Ruggiero.
Nei giorni scorsi ho avuto modo di leggere dell’iniziativa, finanziata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, per il tramite dell’Assessorato alle Politiche Sociali della nostra Regione, realizzata in partnership con i comuni di Termoli, Petacciato e Campomarino in agro di Montenero di Bisaccia, denominata “Spiaggia Abile”.
Un’iniziativa che, nella visione dei promotori e degli assegnatari del finanziamento, dovrebbe essere volta a promuovere il turismo accessibile e inclusivo ma che, nei fatti, si traduce in un maldestro tentativo di offrire uno spazio alle persone con disabilità per accedere ad un luogo, la spiaggia, che è per sua natura demanio pubblico e, come tale, di fruibilità diretta di ogni cittadino, indipendentemente dalle proprie condizioni psicofisiche e/o motorie.
Mi preme, infatti, sottolineare, sia per il ruolo che ricopro in seno alla Giunta comunale di Isernia sia come persona con disabilità, che il tema dell’inclusione non può divenire oggetto di strumentalizzazione per progetti che di inclusivo e accessibile hanno poco o niente, quando non diventano esplicitamente discriminatori.
Non so se per scarsa conoscenza del tema o superficialità, o forse solo per un errore di comunicazione, ma è quello che è avvenuto con la Spiaggia Abile, un luogo, si legge in diversi articoli pubblicati su testate locali, dedicato esclusivamente alle persone disabili e con personale, comunque non specializzato, che dovrebbe fornire assistenza solo in alcune fasce orarie specifiche.
Tralasciando per un momento il fatto, seppure grave, che la spiaggia di cui trattasi non tiene in alcun conto dei diversi tipi di disabilità, che non sono solo quelli di natura motoria, il che già di per sé sarebbe sufficiente a non rendere il progetto valutabile nel merito, mi preme sottolineare come la scelta di destinare dei finanziamenti ad un luogo specifico e limitato nello spazio e nei tempi non abbia nulla a che vedere con l’inclusione ma si avvicini, semmai, ai concetti di differenziazione tipici dei primi anni ‘60.
Pensare e realizzare progetti che tendono al coinvolgimento dei soggetti con disabilità nelle quotidiane attività ludico ricreative, come peraltro in ogni altro campo, implica la necessità di individuare forme e metodi che siano in grado di restituire a quelle persone il principio di libertà, nella scelta dei luoghi, dei tempi e degli spazi da frequentare senza doversi porre prima l’interrogativo “posso accedere?”
Poter accedere, superando le barriere architettoniche e le difficoltà logistiche, sapere di poter godere di un servizio di pubblica utilità quando e come si desidera, poter condividere con amici, conoscenti e colleghi le esperienze del quotidiano: è questa la vera sfida dell’inclusione che tutti, istituzioni pubbliche in primis, dovrebbero considerare come punti valutabili in una progettualità volta all’inclusione.
La mia vuole essere, pertanto, non questione politica – ci tengo a precisarlo – ma una riflessione finalizzata a sensibilizzare le istituzioni e i cittadini affinché la trattazione della tematica della disabilità abbandoni il terreno della carità pelosa e del pietismo di facciata e diventi sistemica, organica e, perché no, affidata ai soggetti titolati a portarla avanti con strumenti e risposte adeguate.