E’ da anni che mi illudo di poter lottare contro l’inesorabile futuro di tristezza e desolazione cui i ragazzi di questa terra sono destinati. Da un anno a questa parte la mia missione da Don Chisciotte si è declinata nei locali di questa città. Esausto della vita piatta e senza consistenza, avevo e sto ancora provando ad agitare le acque, movimentando la vita rimasta. Io insieme ad altri amici e coetanei, che lottiamo contro il silenzio e l’abbandono. Ho cominciato a farlo per istinto, necessità. Contro questa nebbia di assuefazione che ti stordisce col silenzio. Purtroppo negli ultimi anni si è esponenzialmente allargata la voragine che divide Campobasso dalla vita. I ragazzi scappano. Quelli che restano s’arrendono al vuoto.
Ma io ci sto provando a lottare contro i mulini a vento. E anche questa volta lo stavo facendo. Negli ultimi due mesi ho provato in tutti i modi di dialogare con l’amministrazione comunale sulla necessità di un coinvolgimento diretto dei giovani nelle attività del Corpus Domini. Parlando con Roberto Gravina prima, e con Paola Felice poi. Ma non per un coinvolgimento diretto mio in quanto me medesimo, Michele Messere. Bensì per un coinvolgimento diretto dei giovani, delle collettività, delle varie realtà. Da due anni a questa parte il comune sta (giustamente e finalmente) spendendo molte risorse economiche nel Corpus Domini. Palcoscenici nelle vie della città, artisti di primo peso ad esibirsi. Quest’anno è la volta di Fabri Fibra. E si fa presto a dire “lo facciamo per i ragazzi”. Ma “i ragazzi”, come sempre sono costretti ad assistere, messi in un angolo. Insomma avevo provato per vie istituzionali a chiedere un coinvolgimento, ma fin da subito intuii che lo scacchiere degli eventi era stato già deciso. Allora non dandomi per vinto, la mia richiesta si è ridimensionata: “Se proprio non potete concederci un po’ di spazio su di un palco del comune in una delle sere del corpus domini, quantomeno concedeteci il permesso ad allestire un palco tutto nostro, a spese nostre, con mezzi nostri”, chiedevo, pensando che questa potesse essere la giusta strada. Quale miglior posto se non il Bar Leopardi, pensavo, che da anni ci accoglie a braccia aperte, e grazie a Vincenzo Valle è diventata uno dei pochi rifugi per i ragazzi della città. Bastava soltanto chiudere un pezzettino di strada che non solo non avrebbe creato intralcio alla circolazione, ma che normalmente viene “chiuso” naturalmente dalla presenza delle persone che fuoriescono dal marciapiede e dunque, chiudendolo al traffico, si sarebbero risolti problemi sia di viabilità che di sicurezza. M’illudevo. Le settimane passavano, nel mentre il sindaco cominciava la sua ascesa a più alti troni, e Paola Felice s’apprestava a diventare la prima sindaca della città di Campobasso. E proprio la sindaca, con cui cercavo dialogo, mi rimbalzava negli uffici della municipale, spogliandosi poco a poco di responsabilità, proprio mentre di giorno in giorno, di responsabilità ne assumeva sempre di più, considerato che stava diventando la prima cittadina. Insomma alla fine l’autorizzazione non è mai arrivata. E questo nonostante il paradosso: dal comune Paola Felice diceva che non aveva nulla in contrario ma che a decidere era la municipale. Dalla municipale ci dicevano che non c’era nessun problema a chiudere quel pezzettino di strada, ma che a decidere doveva essere la prima cittadina.
Ma a voler esser maliziosi, a me delle vocine erano già sopraggiunte da tempo. E’ che io odio la malizia, odio le vocine. Perché sono un Don Chisciotte. “Lascia perdere”, mi dicevano, “questi hanno già deciso tutto”, “l’autorizzazione sanno che non te la daranno, lo sanno fin dal primo giorno, quest’anno gli unici eventi autorizzati saranno quelli del comune. Il comune farà di tutto per vietare il pubblico spettacolo negli esercizi privati, perché ha paura di rimetterci d’immagine”, continuavano a circolare le vocine. “Hanno paura che ai loro eventi non vada nessuno”. E io non credevo alle vocine. Nonostante alcune vocine non eran vocine, ma voci autorevoli, nelle stanze degli uffici comunali. Perché i funzionari son così, parlano, si lascian sfuggire i dettagli. Che poi, “i loro eventi”, quando io all’amministrazione stavo proprio chiedendo di far rientrare le attività dei ragazzi nei loro eventi. Tant’è, alle vocine poi si son aggiunte le carte, perché proprio oggi, lunedì mattina, mentre parlavo a telefono con Paola Felice, la quale provava a cercare ragioni per cui l’evento, non si sarebbe potuto fare, mi giungeva notizia che al Suap e sui tavoli tecnici era stato dato parere favorevole all’iniziativa. In queste storie poi gioca sempre un ruolo determinante l’incantato mondo burocratico, che ti sballotta e ti stordisce facendoti perdere e disorientare nel labirinto delle carte. Labirinto che è un destino inevitabile se non hai un’amministrazione attenta che ti aiuta nel percorso e che recepisce le proposte facendole proprie. Ma io davvero, di tutto questo non ne capisco il senso. Si lamentano che i ragazzi sono alienati, isolati nel mondo virtuale. Assopiti. E invece eccoci qui, a proporre idee che vengono puntualmente cestinate. A sbracciarci cercando di ritagliarci uno spazio. Anzi, a cercare di difendere il nostro spazio, quello che ci spetta e che ci è negato, a cercare di aggrapparci alla nostra convivialità minata, negata. E forse a molti di voi queste parole sembreranno le elegia di un finto martire. Ma non è così, sono uno sfogo testimonianza con cognizione di causa.
Quando ero adolescente, i miei anni da liceale li passavo in Villetta dei cannoni, un magnifico luogo di socialità, giusto alle spalle del palazzo comunale, giusto a fianco alle due vie più importanti della città. E quando il sabato sera potevamo fare un po’ più tardi, dopo la mezzanotte ci recavamo a Via Ferrari, che si riempiva di schiamazzi e divertimento. Poi gli anni e le male lingue hanno fatto il loro corso. Su villetta dei cannoni prima e via Ferrari poi, è cominciata una spirale d’aria viziata e nel ritrovo conviviale giovanile si è iniziato a vedere il male. E mentre veniva costruito il mito dello spaccio in Villetta Musenga, i ragazzi hanno autonomamente o forzatamente cominciato a non frequentare più quel luogo. Ma il mito dello spaccio non era mai esistito, o meglio: era inevitabile che, essendo quello l’unico luogo di ritrovo della città, si infiltrasse in esso anche un timida attività illecita di spaccio di sostanze stupefacenti. – Posto che, Campobasso ha sì sempre avuto un problema con le sostanze stupefacenti, ma che ha sempre coinvolto in maniera rilevante e continua a coinvolgere principalmente le generazioni che ci hanno preceduto. – Dopo villetta Musenga è toccato a Via Ferrari, oggi divenuto non-luogo anche grazie alla spinta propulsiva degli attuali amministratori. Ricordo ancora i primi mesi di consigliatura dell’assessore Simone Cretella, che trovava giovamento nel denunciare le “scostumatezze” delle nuove generazioni, che puntualmente la domenica mattina lasciavano un tappeto di sporcizie e via Ferrari. Peccato che lui era l’assessore con delega ai rifiuti e Via Ferrari era totalmente sprovvista dei cassonetti dell’immondizia. Morte via Ferrari e villa Musenga si è risolto il problema delle droghe? No. Anzi, spoiler: se distruggi gli unici luoghi di socialità attiva delle comunità, incentivi le comunità stesse ad avvicinarsi ad alcol e droghe, che diventano l’unico svago rimanente. Se disperdi la socialità, indirizzi i giovani nei vicoli e nelle periferie, e quando non puoi più vederli e controllarli SARA’ LI’ che il problema sarà nato quando avrai avuto la sensazione di risolverlo.
Accolto e consapevole dell’ormai inesorabile destino che spettava agli unici luoghi d’incontro, non mi restava che provare a ricostruire quella socialità nei luoghi privati, nei locali, nelle attività. E quindi ho cominciato a fare da promotore di attività nei locali, per provare a frenare l’inarrestabile ascesa del silenzio. E dove non credevo potessero arrivare sono arrivati. Dopo qualche mese che mettevo musica nei locali, a Gennaio di quest’anno, in ognuna delle poche attività rimaste vive, sono sopraggiunte le diffide, firmate dall’allora neo questore di Campobasso, in cui si vietava di continuare le attività di pubblico spettacolo così come fino ad allora svoltesi.
Davvero continuo a non capire. Perché tutto questo. Perché siamo voluti arrivare fin qua. O forse continuo a non voler capire, quando in realtà una risposta me la son già data. Oggi ce l’ho il quadro della situazione, è tutto così chiaro. Noi ragazzi siamo vissuti come un fardello. Diamo fastidio. Siamo considerati chiassosi, rumorosi. Siamo una generazione a cui è stato promesso tutto, ma di quel tutto vedrà poco o nulla. E nell’attesa di un futuro incerto neanche lo svago ci è più concesso. L’alternativa ci è stata fornita, il mondo virtuale. Ed in molti oggi ci si rinchiudono, si abbandonano a questo destino. Si assopiscono, non escono più, non dialogano più, non vivono più. Mentre “i grandi” vivono le loro vite, e si abituano al silenzio di una generazione messa in letargo. E chi resta, chi urla nel vuoto, è un Don Chisciotte. Ed io sono un po’ stanco di fare il Don Chisciotte.
Michele Messere.