Con l’avvento del fast fashion l’industria della moda è completamente cambiata, le vecchie 4 stagioni sono diventate ben 52, i sarti e le sarte che ricordiamo nostalgicamente sono diventati bambini e donne sottopagate in industrie sperdute nel Bangladesh, Cina ed Etiopia, d’altronde non dovrebbe sorprenderci che dei capi che paghiamo meno del cibo che mangiamo siano poco durevoli e prodotti in condizioni precarie.
Non tutti sanno che il fast fashion prevede una strategia molto articolata che punta ad abbassare i costi e la durata di vita del capo, spesso infatti i tessuti si rovinano in pochi lavaggi, tutto ciò ci riporta in negozio a comprare i nostri amati nuovi vestiti all’ultimissima moda.
Il fatto che il fast fashion preveda ben 52 stagioni significa che ogni settimana nei negozi arrivano indumenti nuovi, i cosiddetti “nuovi arrivi”. Ma allora la domanda sorge spontanea “e tutti i vestiti delle settimane precedenti che non sono stati venduti?” Vengono messi in saldo, e ricomincia il ciclo.
Come possiamo rompere questa catena?
Optando per scelte più ecofriendly e soprattutto aziende che rispettino i lavoratori, a colpo d’occhio potrebbe sembrare un’alternativa più costosa ma non è così. Esistono delle opzioni ecofriendly ed economiche allo stesso tempo, ad esempio comprare second hand oppure nei mercatini vintage, tra l’altro c’è un qualcosa di estremamente romantico nell’indossare capi che hanno già avuto una vita precedente. In alternativa basta scegliere quei marchi che producono con materiali duraturi e tutelino i lavoratori, anche con questa opzione i vantaggi sono molteplici, i capi infatti sono progettati per essere durevoli.
A volte la scelta più giusta è anche quella più conveniente.
Valeria Di Paolo