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“Tartuficoltura e ambiente”, convegno a San Pietro Avellana all’interno della Fiera del Tartufo nero estivo



Un convegno molto acceso quello che si è tenuto nel pomeriggio, nella Sala Convegni sita nell’ex Scuola Materna a San Pietro Avellana, dal titolo “Tartuficoltura e ambiente“. Iniziato con i saluti del sindaco Simona De Caprio, ha visto come interlocutori esperti del settore: “Siamo molto orgogliosi del nostro territorio e del tartufo che abbiamo, il tartufo nero nel periodo estivo e il tartufo bianco nel periodo invernale – ha dichiarato il sindaco -.Non a caso a fine ottobre/inizio novembre da noi sis volge anche la fiera del tartufo bianco. Queste due giornate sono state molto intense”.

Il primo a prendere parola l’esperto in impianti di tartuficoltura Angellozzi Emidio: “La tartuficoltura è una scienza certa; se stabiliti bene i tre fattori principali che sono le condizioni pedologiche del sito, una buona pianta tartufigena e le colture appropriate (il fattore più importante), si può ottenere un buon ricavato.

L’elemento di massima importanza per avviarsi correttamente alla tartuficoltura è certamente la pianta, che poi diventerà pianta micorrizata. Essa deve avere una discreta percentuale di micorrizazione, pari o superiore al 20 per cento. La pianta da tartufo non può assolutamente essere concimata, sia in vivaio sia in pieno campo, perché così facendo vengono bruciate le micorrize sulle radici.

L’impianto di una tartufaia inizia con la preparazione del terreno. Si può procedere in due modi differenti, ma validi entrambi. O si fa una aratura di 30-40 cm. massimo, durante l’estate, procedendo poi nei primi mesi autunnali a sminuzzare ulteriormente il terreno con una erpicatura. Nel caso in cui non si voglia lavorare il terreno con mezzi meccanici si ricorre all’impianto a buche: si apriranno buche larghe 40×40 cm. e profonde massimo 25-30 cm. La densità di impianto è molto importante per una buona riuscita di una tartufaia. La posa a dimora delle piantine va da fine novembre a tutto maggio e oltre. Per compiere questa operazione la piantina va estratta con molta cura dal vasetto, senza rompere tutto il pane di terra. La pianta viene posta al centro della buca, in modo che il pane di terra venga a trovarsi sotto la superficie di 1,5-2 cm.

Dopo la messa a dimora delle piantine da tartufo, tutta la concentrazione del neotartuficoltore si focalizza verso il metodo di coltivazione più adatto per la buona riuscita della tartufaia e quindi per l’ottenimento di buoni alberi da tartufo. Bisogna fissare due fasi fondamentali per la coltivazione del tartufo. La prima, dalla messa a dimora della pianta da tartufo alla formazione del pianello; fase che ha una durata dai 2 ai 7 anni. Questa ha un periodo comunque molto variabile, dovuto principalmente alla qualità della pianta simbionte, alla fertilità del terreno e alla giusta coltivazione delle piante da tartufo. Prima della comparsa dei pianelli, c’è stato sempre un dibattito tra i vari tartuficoltura, sul tenere o meno libero il terreno dalla coltivazione erbacea. Su questo argomento abbiamo scuole di pensiero differenti, entrambe francesi: il primo, il metodo Pallier; l’altro, il metodo Tanguy. Il metodo Pallier asserisce la più assoluta pulizia della tartufaia. Questo metodo ritiene che con una buona lavorazione del terreno si toglie una cotica erbosa, si dà una buona aereazione del terreno, favorendo lo sviluppo della pianta da tartufo e delle micorrize. Con la lavorazione si possono spezzare diverse radici, però questo è a favore di altre radici che cresceranno in maggior numero micorrizate. L’inconveniente di questo metodo è che con la lavorazione, dovendo utilizzare un mezzo pesante, si può costipare il terreno: il tutto a discapito della tartufaia. Aspetto positivo del metodo Tanguy è quello della concorrenza delle erbe con la pianta tartufigena, a tutto vantaggio di quest’ultima che a causa della stretta vicinanza con l’erba rallenta la crescita, con un notevole miglioramento a livello radicale da parte del micelio”.

A seguire il Dr. Gabriele De Laurentis che si è soffermato sui primi risultati e considerazioni sulla coltivazione del tartufo nero pregiato: “Per ottenere un buon esito di una tartufaia coltivata bisogna scegliere una migliore combinazione tartufo-pianta rispetto alle condizioni pedologiche e climatiche della zona; utilizzare piantine ben micorizzate provenienti da vivai di sicura affidabilità; effettuare una corretta gestione agronomica della tartufaia. E, la promozione deve avvenire con il tartufo fresco e non quello aromatizzato”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fabio Cerretano si è occupato invece della Tutela dell’Ambiente: “Servono norme di gestione del territorio che agevolino l’affidamento dei terreni dove il tartufo nasce spontaneo e la manutenzione delle aree per mantenere inalterato l’ecosistema tartufigeno. Il 16 dicembre scorso l’Unesco ha dichiarato ‘La Cerca e Cavatura del Tartufo in Italia: Conoscenze e pratiche tradizionali’, patrimonio immateriale dell’Umanità per l’Italia e per tutti i tartufai, è un riconoscimento molto importante. Si dà atto dell’esistenza di una pratica e delle conoscenze necessarie per praticarla che si tramanda di padre in figlio, oramai, da secoli. C’è bisogno di maggiore tutela all’ambiente tartufigeno, attraverso controlli mirati e volti a evitare la raccolta fuori periodo e in particolare con mezzi distruttivi quale la zappa”.

A concludere il convengo Luigi Di Bacco addestratore di cani: “Nel 2012 insieme a mia moglie Anna ho fondato la Scuola Majella Tartufi, accademia che partecipa oggi a importanti eventi nazionali per promuovere il tartufo nelle discipline cinofile di rappresentanza. Il metodo utilizzo prende il nome di Majella: è un tipo di addestramento non aggressivo. A differenza di molti altri criteri, il Metodo Majella non prevede punzoni elettrici, digiuno e altri violenti iter durante la fase di addestramento del cane, ma un metodo naturale basato sui giochi per migliorare la relazione uomo – cane. E’ un metodo basato sulla cinofilia, non mirato cioè al semplice addestramento alla ricerca del tartufo, ma interviene sulla totalità del comportamento dell’animale insegnandogli ad interagire con l’ambiente che lo circonda. Infine, fa distinzione tra le razze: ogni tipologia di cane necessita di un addestramento specifico in base a razza, tempra psichica, fisica, temperamento dell’animale e lo stadio di neotenia. Il Metodo Majella tiene conto di ogni fattore e personalizza la modalità di addestramento a seconda delle esigenze di ogni singolo esemplare”.

 

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